Leggy

Fila Brazillia

Score: 17
/
Played: 19

Album:

Maim That Tune

Wiki:

Lyrics:

Earn upon approval! {{lyricsContributionDisabled ? '(While you\'re under '+USER_CONTRIBUTION_GAINS_LIMIT.WIKI_LYRICS+' Beats)' : ''}}

Il 25 Novembre 2020, a distanza di 26 giorni dal suo sessantesimo compleanno, ci ha lasciato un’icona mondiale, un rappresentate del “Sur” (sud in spagnolo) del globo terrestre e sicuramente uno dei due migliori calciatori del XX secolo: Diego Armando Maradona. Per parlare di un personaggio così fondamentale per la cultura esistente non basterebbe dire “genio e sregolatezza”, perché Diego, su un campo da calcio, ha superato il genio per incarnare il divino (nel caso giocasse per la squadra per cui si tifava) e il maligno (nel caso si era tra gli sfortunati della domenica ad averlo contro), e lo stesso è andato ben oltre il concetto di sregolatezza modificandone gli stessi limiti concettuali. Per inquadrare al meglio, quindi, l’esistenza del Pibe de Oro (“il ragazzo d’oro”, guarda caso anche titolo di un album fondamentale del nostro hip-hop) potrebbe esserci d’aiuto sfogliare le pagine di uno dei più famosi pensatori dell’800 europeo. Teologo, oltre che filosofo, Søren Kierkegaard fu l’iniziatore dell’esistenzialismo, una corrente di pensiero che afferma il valore intrinseco dell’esistenza umana individuale. Scrisse nel 1843 un’opera destinata a rimanere come la più celebre del suo catalogo filosofico, “Aut-Aut”, dove presenta l’alternativa esistenziale tra due sfere di vita differenti: quella estetica e quella etica (a cui si aggiungerà una terza: quella religiosa). Lo stadio dell’esistenza estetico è quello dove l’uomo recepisce con indifferenza le leggi etiche tradizionali e i principi morali mentre ritiene fondamentale esperire il mondo come uno spettacolo da godere, tendendo sempre verso al soddisfacimento del piacere. La vita di Diego è stata sicuramente una delle migliori rappresentazioni di vita estetica a cavallo tra il secolo scorso e quello presente (anche perché di etico e religioso, seppur credente, non è che avesse tanto). Cresciuto nella disastrata favela di Villa Fiorito, nella parte sud di Buenos Aires, per il piccolo Diego l’unico piacere della sua infanzia è stato calciare la “pelota” rimanendone padrone, insomma, amministrare il piacere senza mai privarsene. L’amore che aveva verso il pallone è proporzionale a quello che i tifosi napoletani e argentini avevano verso di lui e l’influenza globale del suo tocco calcistico e del suo carisma fuori da ogni schema non ha pressoché eguali nella storia dello sport (forse paragonabile solo Mohamed Alì). Praticamente impossibile per un’esteta della vita come lui non diventare un’icona e condizionare generazioni di ragazzi che sotto al segno del suo mito sono nati e cresciuti. Quando nasce un Diego Armando Maradona, nasce inevitabilmente l’esigenza di raccontarlo, di tramandare le sue gesta, di rivelare l’uomo fragile e il peccatore assiduo che è stato. La musica e le canzoni, nel corso dei secoli, si sono sempre prestati a questa esigenza e anche nel suo caso artisti di ogni genere musicale e di ogni parte del mondo hanno parlato di lui, della sua persona e della sua grandezza su un campo da calcio. Diego fu un grande amante della musica. Sono molteplici i video che lo ritraggono ballare (famoso quello in cui nel riscaldamento della finale di Coppa Uefa, danza col pallone a ritmo di “Live is Life”) ed ha anche cantato e registrato un tango magnifico composto nel 1943 da Juan Puey, con liriche di Reinaldo Yiso (anch’egli un calciatore che fu costretto ad interrompere la sua carriera per un brutto infortunio), dal titolo, pressoché premonitorio visto i diciassette anni d’anticipo dalla nascita di Diego, “El Sueño del Pibe”. Il tango parla di un ragazzino di condizioni sociali umili che riceve da una società calcistica la possibilità di giocare nelle proprie fila. La narrazione passa poi al giovane stesso, che già fantastica con la madre del suo futuro calcistico, dalle giovanili del club fino a raggiungere l’olimpo dei grandi calciatori argentini e dei soldi che finalmente riusciranno ad avere. Il fatto che questa canzone sembri preconizzare la vita di Diego Armando, le dà un’aurea mitologica che fa venir voglia di ringraziare “Atahualpa o qualche altro Dio” per la potenza evocativa intrinseca alla musica. E per la musica italiana chi è stato Diego? C’è da dire innanzitutto che i primi ad innamorarsi di lui sono stati i tifosi partenopei che hanno avuto l’onore di accoglierlo nella città, dopo la parantesi spagnola a Barcellona. Non ci stupiremo quindi di trovare numerose citazioni all’interno delle canzoni di cantautori napoletani come, ad esempio, Pino Daniele, che gli dedica nel 2004 “Tango della Buena Suerte”. Col tempo il suo mito si estende e si consolida ben oltre i confini del capoluogo campano (ma con alti e bassi, ricordiamoci sempre che stiamo parlando di Maradona) e rimane tutt’ora saldo in tutta la penisola. In un film a lui dedicato, dal titolo “Diego Maradona”, gli intervistati, persone a lui vicine come, ad esempio, la moglie e il suo preparatore atletico, parlano delle due facce differenti della sua personalità sin dall’arrivo a Napoli. C’era “Diego” che era il bambino solare, estroverso ma anche mansueto e obbediente di Villa Fiorito e c’era poi “Maradona”, l’icona semi-divina vincente e amata da tutti che non poteva mostrare debolezze. Fu proprio il tonnellaggio di questa maschera a condurlo verso vie di uscita non consone ad un atleta del suo calibro, in concreto, alla dipendenza. Credo sia importante riesumare questa distinzione tra “Diego” e “Maradona” per evidenziare delle differenze di stile tra chi ne ha narrato e cantato le gesta nella nostra penisola. Abbiamo detto che “Diego” rappresenta il ragazzo, la speranza e il poetico talento, ma rappresenta anche, per riflesso, la nostalgia e il rimpianto per quello che poteva essere. Di questo ne hanno cantato vari cantautori come il già citato Pino Daniele, Gaetano Curreri (con gli Stadio “Doma il Mare, il Mare Doma") e Francesco Baccini (“Diego Armando Maradona”), ma anche autori più giovani come i Canova (“Maradona”), Jovine (“O Reggae E’ Maradona”) e i Thegiornalisti (“Maradona y Pele”). Dell’icona “Maradona”, e quindi della persona con tutti i suoi difetti, il genere più calzante per raccontarlo è certamente l’hip hop, dove il suo nome è presente praticamente in ogni discografia dei rapper più conosciuti al giorno d’oggi. Vediamo qui avanti come l’hip hop italiano è stato influenzato dalla figura chiara e scura di Maradona, dividendo per eventi fondamentali della sua vita le tracce in cui viene menzionato il suo nome. Nonostante il genere musicale sia nato negli USA, che per questioni politiche non è proprio il paese più gradito al Diez, è interessante constatare quanto i due mondi siano più affini e vicini piuttosto che lontani e potremmo azzardare che se Diego fosse nato nella parte nord del continente, forse visto il suo carattere burrascoso e i suoi problemi con la legge, il suo genere musicale di riferimento sarebbe stato proprio il rap: la musica dei piani bassi della società per eccellenza. Iniziamo il nostro viaggio. NAPOLI (Salmo – 1984, Clementino – Tarantelle (Che Ne Sarà Di Me), Tauro Boys – Watch Me, Philip – Bravi Ragazzi, Raige – Scuola Calcio) Uno-nove-otto-quattro, sbarca a Napoli un alieno. Acquistato per 13 miliardi e mezzo di lire dal Barcellona, il 5 Luglio di quell’anno Diego viene presentato in un San Paolo gremito (85.000 posti). Se l’amore dei napoletani era questo al suo arrivo, potete solo immaginare cosa diventò per la città tre anni dopo quando vinse il primo scudetto o cinque anni dopo quando, oltre allo scudetto, si portò a casa anche la prima e ultima coppa europea della sua storia. Maradona, nella città di Caruso e Totò, si elevò allo status di divinità e volle, dal primo giorno, diventare l’idolo dei bambini in difficoltà di quella città, perché anche lui lo era stato. Il legame tra Napoli e Maradona nell’hip-hop italiano viene chiamato in causa appunto per indicare una forte vicinanza con la gente, specialmente quella dei quartieri più umili. MANO DE DIOS (Guè Pequeno – Quei Bravi Ragazzi, Dargen D’Amico – Bocciofili, Lazza – Maradona, Don Joe & Shablo – Guarda Bene [Mixup], Montenero – Milano Spara) Il 22 Giugno 1986 è l’apice dell’esistenza estetica e della carriera calcistica di Maradona, non c’è dubbio. Quarti di finale del Mondiale messicano: si affrontano Argentina e Inghilterra, a distanza di soli quattro anni da una delle guerre più inutili mai combattute sul pianeta, la guerra delle isole Falkland del 1982 vinta dagli inglesi. Diego gliene fa due: il primo, per punirli dello scontro bellico (un gol di mano, ma l’infrazione sfugge all’arbitro che convalida) e il secondo per condannarli all'eliminazione. È il gol più bello mai realizzato su un rettangolo verde. A fine partita, parlando di come avesse realizzato la prima marcatura, disse: “un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios”. L’astuzia e la velocità dell’esecuzione regalarono all’Argentina il secondo mondiale e a lui l’odio degli inglesi. Nel rap, “mano de dios”, viene utilizzato per parlare di un tocco divino sulla falsariga di quello di Diego. LA DROGA (In The Panchine – Deadly Combination, Dark Polo Gang – Diego Armando Maradona, Gemitaiz & MadMan – Antidoping, Dargen D’Amico – Un Fan In Basilicata (Almeno), Vacca – Voodoo Connection) È cosa nota che Diego ha avuto problemi con la cocaina, iniziati proprio qui in Italia, e con sostanze dopanti in un secondo tempo. La cocaina l’avvicinò alla camorra napoletana di allora in mano a Luigi Giuliano che divenne suo amico e fornitore. Diego, troppo giovane, stupidamente si sentì di rivivere il mito di Tony Montana (uscì nel ’83 “Scarface”) e non si pentì mai di quello che aveva fatto se non per la tristezza che aveva ingenerato ai propri familiari. La stampa italiana fu spietata nei suoi confronti, specialmente dopo la sconfitta italiana in semifinale ai rigori nei Mondiali casalinghi del ’90, con cui l’Argentina riuscì a strappare un biglietto per la finale poi persa con la Germania. Seppur la cocaina non sia da sempre e da tutti accettata all’interno del contesto rap, possiamo notare come negli ultimi anni questa sia sempre più citata per esprimere un degrado esistenziale, prima che sociale. Da quel 17 Marzo 1991, giorno in cui l’antidoping, per la prima volta, diede responso positivo, Diego divenne una metafora per parlare di carriere e vite spezzate da una dipendenza futile all’interno dell’immaginario hip hop. MARADONA O PELÉ? (Guè Pequeno – Il Ragazzo D’Oro, Machete – ORANGE GULF, ondaGranda – LO PREFERISCO VAGINALE, Marracash – Semtex, Rocco Hunt – Ti Volevo Dedicare) Dubbio amletico-sportivo del XX secolo: Pelé o Maradona? I posteri non hanno ancora trovato una sentenza. O Rei terminò la sua carriera nel 1976, quando Maradona stava muovendo i primi passi con l’Argentinos Juniors, con all’incirca 1281 gol in 1363 partite riconosciutigli dalla FIFA. Ed è proprio la distanza di pochi anni che non ci dà la possibilità di trovare una risposta secca. Maradona, in termini di gol, non si avvicinò mai a questi numeri, ma il suo mito e il suo mancino fecero e fanno ancora tremare il trono su cui siede il brasiliano (secondo i brasiliani). Nel rap questa coppia di campioni viene spesso usata come metafora per parlare del featuring presente sulla traccia, ma le cose cambiano se ad utilizzarla è un rapper o cantante napoletano. Per loro la verità è una sola: “Maradona è megl’ ‘e Pelé”. IL MITO DI DIEGO (Side Baby – Frecciarossa, Sfera Ebbasta – 20 Collane, Enzo Dong – Sott e bas, Vale Lambo – E Fatt O’ Giallo, Willie Peyote – Turismi, Jack The Smoker – Mister, Caparezza – Canzone A Metà, Egreen – Non Mi Interessa) Impossibile, giunti alla fine di questo viaggio, non parlare di quanto Diego si presti al meglio a indicare “il migliore”, “l’ineguagliabile” nel fare una determinata cosa. La sua figura nel mondo dello sport siede di fianco ai migliori di ogni disciplina, nonostante il suo modo di essere non gli abbia permesso di essere un esempio sportivo a tutto tondo. Diego Armando Maradona rimarrà nel, pianeta abitato dagli uomini, il beneplacito divino allo sperare prima di credere.